L’associazione si rallegra dell’approvazione da parte della Camera degli Usa, quasi all’unanimità, d’una risoluzione che riconosce il genocidio armeno, invita a commemorarlo e ad educare sulla vicenda.
Un genocidio non consiste solo negli eventi terribili del momento in cui è perpetrato, nel sangue e nelle violenze che mirano a distruggere un popolo intero; prosegue col negazionismo. Negazionismo: non sono solo parole, sono atti ben precisi, calcolati e studiati per spargere sale su ferite appena rimarginate, per creare confusione in menti abitate dal ricordo di violenze inaudite che vengono minimizzate o negate, col preciso scopo di venire infine dimenticate. Per gli armeni, ci fu una logica perversa in questo meccanismo diabolico, che li schiacciò. Dopo il trattato di Losanna del 1923, la stessa parola “armeni” scomparve, i monumenti sparsi nell’intera Anatolia distrutti, i nomi dei luoghi cambiati. Le ombre del popolo perduto vagavano invano per l’Armenia storica, nessuno le vedeva… Ed è solo con i nipoti di terza e quarta generazione, che un po’ alla volta la memoria è stata ristabilita. Passo dopo passo la realtà della piccola Armenia del Caucaso, tornata indipendente dopo la caduta dell’Urss, si è imposta come una nazione fra le altre, e si è ricominciato a parlare e a discutere del genocidio. Molti parlamenti, uno dopo l’altro, hanno cominciato a riconoscere il genocidio degli armeni. È un atto che diffonde una verità storica, non ha conseguenze pratiche: e vorrebbe aiutare il popolo turco ad affrontare finalmente questo immenso “scheletro nell’armadio” che avvelena il Paese e lo priva della sua stessa memoria, come ha scritto molto bene Hasan Djemal, nipote di uno dei maggiori responsabili della tragedia, che ha dedicato un commovente libro sull’argomento.